Consapevolezza e Responsabilità: riappropriarsi della capacità di scegliere come vivere la propria esistenza.

Cos’è consapevolezza? Cos’è responsabilità?

“Sono consapevole delle mie dita che battono velocemente sulla tastiera del computer, sono consapevole di avere voglia di una tisana, sono consapevole di irrigidire i muscoli delle braccia e delle spalle, sono consapevole di essere sola nella stanza, sono consapevole del piacere che provo nello scrivere, sono consapevole di pensare di alzarmi e farmi una tisana, sono consapevole di avere i piedi incrociati, sono consapevole di un rumore di tapparella proveniente da un appartamento vicino, sono consapevole di un brivido lungo la schiena, sono consapevole di essere felice di poter dedicare tutta la giornata alle mie passioni, sono consapevole di stare pensando a cosa scrivere, sono consapevole del mio cuore che batte, sono consapevole di respirare profondamente, sono consapevole…”

Potrei andare avanti ininterrottamente ad elencare tutto ciò di cui sono consapevole, istante dopo istante. Pensieri, emozioni, sensazioni provenienti dal mondo esterno e da quello interno.

E voi? Di cosa siete consapevoli in questo momento?

In Gestalt si chiama “Continuum di Consapevolezza” ed è un modo efficace per aiutare le persone ad accorgersi di sé e di quello che li circonda.

Vi va di provare?

Consapevolezza non è sinonimo di sapere, non si riduce ad una conoscenza intellettuale.
E’ qualcosa di più completo, profondo, che include le percezioni e il vissuto soggettivo.
Essere consapevoli significa essere in contatto con sé e questo implica necessariamente riconoscere quello che proviamo emotivamente e ciò di cui abbiamo bisogno.

Facciamo un esempio.

“E’ tardo pomeriggio e Marta[1] torna a casa dal lavoro dopo una lunga giornata pesante. Si toglie le scarpe buttandole in un angolo e quando entra in salotto trova il figlio maggiore che sta ricoprendo tutto il pavimento con pezzetti piccolissimi del puzzle che è intento a comporre. Nel frattempo, si sentono le grida della figlia più piccola, impegnata in una simulazione di lotta con il papà, e dai rumori provenienti dalla camera da letto dei bambini si capisce che entrambi si stanno rotolando per terra. Immediatamente, lo sguardo di Marta va alla pila di piatti sporchi nel lavello e al mucchio di documenti buttati a caso sul tavolo della cucina. Quando il marito Giorgio[1] arriva in sala, trova il figlio in lacrime per essere stato sgridato del disordine e la moglie tutta rossa in viso, intenta a lavare i piatti, che gli urla di non essere mai d’aiuto.”

Secondo voi, cos’è andato storto?

Se chiedessimo a Marta come si sente ora, probabilmente ci risponderebbe che è arrabbiata, con il marito e forse anche con il figlio. Potrebbe anche sentirsi in colpa per essersela presa con il bambino e a seconda di come risponde il marito, potrebbe arrabbiarsi ancora di più oppure sentirsi dispiaciuta. Ovviamente, sono solo ipotesi.
In questo esempio, quello di cui Marta non sembra essere consapevole riguarda il suo stato psicofisico nel momento in cui ha varcato la soglia di casa. Ad esempio, è probabile che si sentisse profondamente stanca e spossata, avendo quindi bisogno di riposo e calma. Magari era frustrata o preoccupata da qualcosa successa sul lavoro ed è possibile che avesse bisogno di ascolto, comprensione e rassicurazione. O ancora, era arrabbiata per un’ingiustizia subita dal proprio capo e aveva bisogno di sfogo e leggerezza. Potremmo continuare con le ipotesi…

Sarebbe cambiata la sua reazione alla situazione che trova in casa e che evidentemente non le piace?
Magari no, però diventando consapevole dei suoi stati d’animo e dei suoi bisogni, avrebbe potuto comprendere che trovare una situazione di caos e confusione in casa non le sarebbe di certo piaciuta, avendo in quel momento altre necessità. In questo caso, avrebbe potuto assumersi la responsabilità del proprio vissuto, scegliendo di prendersi cura di sé piuttosto che prendersela con gli altri.

Vi state chiedendo cosa avrebbe potuto fare Marta per prendersi cura di sé?
Non c’è un’unica risposta e nemmeno esiste una risposta giusta. I bisogni sono universali e condivisi, ma ognuno ha il proprio modo per soddisfarli, in un determinato momento.
Comunque, possiamo fare alcuni esempi: Marta avrebbe potuto parlare con il marito e condividere con lui il suo stato d’animo e le sue necessità; avrebbe potuto mettersi a fare il puzzle con il figlio entrando in una dimensione di gioco e leggerezza; avrebbe potuto rimettersi le scarpe e decidere di rimanere per un po’ fuori di casa, magari a fare un giro per sbollire la tensione; avrebbe potuto unirsi alla lotta per scaricare la tensione emotiva e sfogarsi…. di sicuro vi possono venire in mente altre alternative e comunque non sappiamo quale sarebbe stata maggiormente d’aiuto a Marta.

Nel mio studio, quando una persona arriva ad essere consapevole di quello che vuole, significa che si assume anche la responsabilità di andarselo a prendere. Il come, cioè il modo in cui questo avviene, è assolutamente soggettivo.
A volte, è possibile che una persona non sappia in che modo soddisfare i propri bisogni. In questo caso, il mio lavoro è quello di aiutarla a sviluppare la propria creatività, immaginando possibili soluzioni e il loro possibile effetto su di sé e sugli altri.
In ogni caso, è responsabilità della persona scegliere se agire i cambiamenti o rimanere ferma.

Responsabilità significa “abilità di rispondere”, cioè la capacità di far fronte agli eventi della vita attivando le proprie risorse.

In questo modo, consapevolezza e responsabilità sono inevitabilmente inseparabili, poiché dal momento in cui una persona diventa consapevole di cosa sta vivendo e di cosa vuole, diventa immediatamente responsabile di scegliere se attivarsi per migliorare la propria vita oppure no.

Consapevolezza e responsabilità portano alla possibilità di essere liberi di scegliere come condurre la propria vita.
E quindi si è liberi di scegliere di non cambiare, senza però poter più dare la colpa agli altri.

Marianna Turriciano