Individualità

Individualità: la vera strada per combattere stereotipi e pregiudizi

Il mondo è composto da persone, ognuna con la sua individualità.   

Individualità: ‘Qualità, carattere di ciò che è individuo, cioè singolo, uno.’, cita come prima definizione il vocabolario Treccani.[1]

Dire che ognuno di noi è diverso dagli altri appare scontato. Eppure, scontato proprio non sembra essere, contando quante volte tradiamo questo semplice concetto.

Ogni volta che generalizziamo e categorizziamo uccidiamo le differenze individuali e poniamo le basi per la nascita (o la conferma) di pregiudizi. Ebbene sì, classificazioni e categorizzazioni diventano facilmente pregiudizi.

Anche qualora parlassimo di classificazioni “positive”, contenenti quindi giudizi positivi, esse diventano gabbie da cui comunque facciamo fatica a ritrovare le differenze individuali. D’altra parte, i giudizi positivi sempre giudizi sono. E come ci insegna la Comunicazione Nonviolenta di Rosenberg, ogni giudizio (positivo o negativo che sia) pone chi lo formula al di sopra dell’altro, creando una disparità di potere nella relazione.

Età, genere, provenienza, nazionalità, orientamento sessuale, o. religioso, o. politico sono le grandi categorie che raccolgono la maggior parte degli stereotipi, ma ne esistono tante altre.

Ogni ambito lavorativo, per esempio, diventa facilmente oggetto di generalizzazioni.

Ne conoscerete anche voi, no?

“Gli insegnanti oggi non sanno più come gestire i ragazzi”, “Tu che sei psicologo allora puoi capire”, “Gli impiegati statali non hanno voglia di lavorare”, “I politici sono tutti corrotti”… potremmo stare qui ad elencarne per ore.

Non vi chiedo nemmeno cosa pensate di queste frasi, poiché probabilmente affermare che ci risultano completamente estranee sarebbe una bugia.

classificazioni vs individualità

E comunque ce n’è per tutti.

Ognuno di noi è inserito dentro più di una classificazione.

E la cosa peggiore è che spesso siamo noi i primi e le prime a pensarci in questi termini. Che in quanto donna o in quanto uomo possiamo o non possiamo fare certe cose. O che in quanto bambini abbiamo solo certi diritti. Oppure che in quanto professionisti di un certo tipo dobbiamo avere certe caratteristiche.

Ce le portiamo dietro, queste classificazioni, come se non fosse possibile lasciarle andare.

Spesso servono anche a noi per rimanere all’interno di un territorio conosciuto, se pur ristretto, che ci permette di evitare la paura della libertà. Ci toglie il peso della responsabilità. La responsabilità di affermarci. Aggiunge però il peso della costrizione, la depressione derivante da una visuale limitata e la frustrazione e l’impotenza del vivere senza dare sfogo alla nostra individualità.

La prima classificazione impressa nella pelle rimane il genere sessuale con cui nasciamo. Gli stereotipi di genere sono l’inizio della fine dell’individualità, poiché ancora oggi racchiudono la maggioranza delle differenze in termini di possibilità e riconoscimento valoriale.

A seguire troviamo le discriminazioni in base all’orientamento sessuale ed etnico.

Anche senza voler discriminare, qualsiasi generalizzazione perde di vista il singolo. E perdere di vista il singolo significa allontanarci dalla realtà che abbiamo davanti agli occhi.

Ora, con questo non sto dicendo che le categorie, di per sé, non vadano bene. Esistono per un motivo: semplificarci l’attività cerebrale. Inoltre, ci aiutano nella comunicazione. Vi immaginate come sarebbe descrivere ogni volta la professione che vogliamo citare senza poterne utilizzare il nome? Un po’ lunghetto. Tuttavia, questa possibilità può limitarsi ad essere, appunto, una possibilità. Nel momento in cui attribuiamo a queste categorie dei giudizi (o pregiudizi), allora stiamo aggiungendo qualcosa di troppo.

Quando poi utilizziamo queste categorie per parlare di un singolo, allora possiamo dire che la nostra attività cerebrale si è semplificata un po’ troppo.

Guardare al singolo, alle specifiche della persona con cui siamo in contatto, significa davvero tenere conto dell’individualità e darle valore. Così come significa anche riconoscere ciò che non ci piace in quel singolo, ovviamente.

Qualsiasi approccio che non guardi la persona è limitato e limitante.

Anche nella stessa psicologia e psicoterapia, tra l’altro, guardare al singolo è l’unico modo per poterlo aiutare. Penserete che sia scontato e purtroppo non lo è. Tutte le tradizioni che ancora oggi guardano ostinatamente ai sintomi, alla definizione di protocolli, o si basano sull’uso di tecniche applicate in maniera generalizzata… non guardano all’essere umano che hanno davanti agli occhi. E questo non è aiutare le persone.

Cambiare tutto questo si può. Possiamo e dobbiamo farlo noi cosiddetti professionisti della salute, ma può farlo ognuno di noi in quanto essere umano. Perché altrimenti continuiamo ad essere profondamente ciechi di fronte alle sfaccettature della vita e questo impoverisce la nostra esperienza. Senza poi contare tutta la violenza che ne può scaturire.

Torniamo a vedere il mondo al singolare.

Guardiamo al singolo, all’uno.

individualità mondo

Marianna Turriciano

Note
[1] Dal dizionario Treccani: individualità s. f. [der. di individuale]. – 1. Qualità, carattere di ciò che è individuo, cioè singolo, uno: l’iè indicata grammaticalmente dal numero singolare2. a. La nota o il complesso di note proprie ed esclusive che caratterizzano l’individuo e lo distinguono dagli altri individui della stessa specie o dagli altri membri della stessa società. b. Carattere o personalità ben rilevata, originale (in questa accezione, è più com. personalità): avere spiccata i.; essere privo d’individualità3. In senso concr., individuo; unità indivisibile; persona di qualità singolari.

Fonte immagini: pixabay – immagini libere da copyright

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